Aldo Moro e il triste epilogo

Aldo Moro
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Aldo Moro: 44 anni dopo una delle pagine più nere della storia italiana

Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio 1978. «Per un attimo spero che sia vivo, ma -Francesco Cossiga- mi dice subito che hanno trovato la salma» scrive Giulio Andreotti nei suoi diari, in quella data.

Poco dopo le ore 09:00 del 16 marzo, un commando delle Brigate Rosse entrò in azione in via Fani, a Roma: bloccò le auto dello statista Aldo Moro, uccise i 5 uomini di scorta (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino) e portò via Moro su una Fiat 132 blu.

In via Fani furono trovati 93 bossoli, di cui 49 della stessa arma -sparati in meno di tre minuti. Nessuno di questi colpì il presidente della Democrazia Cristiana, in quell’epoca il partito guida di tutti i governi: alle BR Moro serviva vivo.

Le Brigate Rosse si facevano chiamare “partito comunista combattente” e avevano scelto la lotta armata contro lo Stato. Nei cosiddetti anni di piombo uccisero, rapirono e gambizzarono oppositori e nemici dei loro ideali. Con il sequestro di Moro fecero un passo oltre, in questa folle guerra contro il Paese: mai un personaggio tanto importante -e sotto scorta- era stato l’obiettivo del terrorismo!

55 giorni di sequestro per 9 comunicati e 86 lettere.

Nei comunicati, le BR spiegarono i motivi del sequestro e delinearono le condizioni per la liberazione dello statista. Rivelarono, inoltre, dettagli del “processo” cui stavano sottoponendo Moro esponente di quello che loro definivano il «regime democristiano». Si tratta di documenti lunghi e poco chiari, ancora oggi pieni di incognite.

Le lettere di Moro sono indirizzate alla famiglia, ai principali esponenti della DC, ai quotidiani e al papa Paolo VI. Alcune arrivarono a destinazione, altre furono ritrovate successivamente, in una casa milanese dei terroristi, conosciuta come “covo di via Monte Nevoso”. Un primo gruppo fu trovato dagli uomini del generale dalla Chiesa poco dopo il sequestro; altre lettere, invece, saltarono fuori nel 1990, durante i lavori di ristrutturazione dell’appartamento. Questa vicenda ci insegna che la storia ha sempre qualcosa di nuovo da raccontare, anche quando tutto sembra già detto!

I diari di Giulio Andreotti

Acutissima è l’analisi delle lettere che fa Leonardo Sciascia a caldo degli eventi. Con L’Affaire Moro (ri-edito da Adelphi nel 2020) ricostruisce un’intelaiatura di pensieri, di correlazioni, di fatti che sono l’indagine che più si avvicina alla “verità” in quegli anni.

Giulio Andreotti, I diari degli anni di piombo, Milano 2021

Altra testimonianza interessante dell’epoca è il resoconto che Giulio Andreotti fa della vicenda nei propri diari. Spesso, nel segnarsi quel che gli accade, Andreotti è sintetico e obiettivo: segna i fatti per quello che sono: «2-5 luglio 1971. A Parigi per il gruppo Pinay. Ne approfitto per due parentesi ippiche: a Longchamp, dove a una corsa partecipa il cavallo Aldo Moro (arriva nono su 11 e ci perdo 2000 franchi di scommessa), e a Saint-Cloud».

Spettatore in prima fila della vicenda e tra i protagonisti del momento storico, quando riferisce dell’affaire Moro, Andreotti si dilunga. Il racconto rapido e freddo del quotidiano lascia spazio a considerazioni personali, a ragionamenti e a lunghe descrizioni di quello che sta avvenendo.

Il 16 marzo, il giorno del rapimento, è quello in cui ci si aspetta il voto alla fiducia per il quarto governo presieduto dallo stesso Andreotti. Nel diario, il politico quasi dimentica questa cosa ed esordisce così: «Giornata drammatica. Hanno rapito Moro vicino a casa sua e ucciso cinque uomini della sua scorta. Azione condotta tecnicamente da superspecializzati che crea un’impressione profonda. Ha dell’incredibile».

Dopo il rapimento

Nei 55 giorni a seguire, si leggerà sempre qualcosa legato alla vicenda, con un cenno alle lettere che arrivano da Moro o ai comunicati delle BR o alle reazioni interne di Politica e Chiesa; numerose saranno anche le considerazioni personali.

Il 27 aprile scrive: «Alla tv cerco di essere obiettivo, utile e non nervoso, ma la vicenda Moro ci distrugge» e il 9 maggio riferisce che alle ore 14:00 lo ha chiamato Francesco Cossiga: «Abbiamo trovato Moro». Morto. «Poteva capitare a me, invece che a Moro e la strada sarebbe stata la stessa. A piangere sarebbero stati Livia e i figli miei».

Nei mesi a seguire, Andreotti tornerà sul rapimento e la morte dello statista. Il 31 dicembre dello stesso 1978 chiude l’anno così: «È stato l’anno più drammatico della mia vita per l’irrimediabile tragedia di Aldo Moro. Non penso alle conseguenze politiche né alle polemiche che ne sono seguite su una presunta possibilità di scongiurare l’assassinio. Mi sconvolge il pensiero della famiglia alla quale Aldo Moro dalla prigione ha dedicato gli accenti più toccanti».

Anche noi forse, nella follia di questo pezzo di storia, dovremmo a volte concentrarci solo sulle parole dell’uomo che scrive alla moglie e che ha a cuore il domani della famiglia: «Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande, grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme. Mi parrà di essere tra voi».

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