Roma quanta fuit ipsa ruina docet: Roma dalle origini al mito
Roma quanta fuit ipsa ruina docet è la frase che compare sul frontespizio dei sette libri di architettura di Sebastiano Serlio (1537).

Mantova, Museo Francesco Gonzaga ©
“Quanto fosse grande Roma, ce lo dicono le sue stesse rovine” è la traduzione (letterale, ma non troppo) dell’aforisma serliano -anche se pare che l’autore del motto sia stato Francesco Albertini con il suo Opuscolum... (1510). La grandezza di questa città è documentata anche dai reperti che ci sono arrivati, dalle sue rovine, appunto.
Roma, l’Urbe è stata ed è qualcosa di prorompente e inesorabile. La storia ci insegna come dalla città di Roma siano partiti i più forti e coraggiosi condottieri alla conquista del mondo.
Non c’è beffa, non c’è inganno: Roma è sempre stata lì. Più o meno.
Roma quanta fuit…ma quando è stata fondata?
Ma ci sarà una data di inizio?
Quella storia che si fonde e confonde con la leggenda segna a oggi il Natale di Roma, il giorno della fondazione: 21 aprile 753 a.C. Sì, avanti Cristo. E non è una data fornita a caso. Si tratta del frutto dei calcoli effettuati dall’astrologo Lucio Taruzio che segnala la cosa a Varrone.
Ab Urbe condita: da Varrone in poi e per un bel periodo, gli anni si sono segnalati cosi “dalla fondazione di Roma”.
L’Urbe, la Città per eccellenza. Roma, appunto, mitologicamente fondata da Romolo, della dinastia dei Re di Alba Longa. Secondo la tradizione, Romolo e il gemello Remo sarebbero stati generati da un’unione clandestina, cioè quella della madre Rea Silvia (discendente di Enea e figlia del legittimo re di Alba Longa) con il dio Marte.

Le storie e le leggende su Romolo e Remo sono numerose e tutte concordano su una cosa: i due a un certo punto lasciano Alba Longa -dove il nonno, nel frangente si è ripreso il trono. Romolo e Remo si recarono su una riva del Tevere, per fondare una città nei luoghi in cui erano cresciuti, salvati da una lupa e accuditi da un pastore.
Romolo e Remo, però, erano gemelli e a nessuno dei due toccava il diritto di progenitura, quindi affidarono agli dei l’ardua sentenza: chi avrebbe dato il nome alla nuova città?
L’interpretazione dei segni che entrambi avevano visto generò un bel diverbio tra i due. Un diverbio che finì male, con la morte di Remo.
Venuto meno Remo, rimaneva Romolo… che diede il nome a Roma, all’Urbe, La Città.