Dante settecento anni dopo

Dante Alighieri, un uomo in bilico tra storia e allegoria.

Dante. Quando sei “un grande”, il mondo ti conosce così, con il tuo nome di battesimo. È capitato a Leonardo (da Vinci), a Michelangelo (Buonarroti) e a Raffaello (Sanzio), come capita per Dante che di cognome faceva Alighieri.

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 egli spirò e oggi, settecento anni dopo, il mondo lo celebra nei modi più svariati: convegni, mostre, libri… e dediche molto particolari. L’asteroide (65487) 2003 CD20 è stato chiamato Divinacommedia in suo onore!

L’uomo politico

Durante detto Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 nel pieno delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, le due fazioni politiche della Penisola medievale. I Ghibellini sostenevano il potere imperiale, mentre i Guelfi appoggiavano il Papato. A questa seconda fazione apparteneva il poeta, che prese parte alle azioni militari di Firenze, a capo della lega guelfa, intraprese contro Pisa e Arezzo, città ghibelline. Nella Divina Commedia egli racconta di aver partecipato a scorrerie in territorio aretino e alla battaglia di Campaldino (11 giugno 1289), ma anche di aver assistito all’assedio del castello di Caprona (16 agosto 1289).

Nel frattempo componeva e scriveva, non dimentichiamolo.

Alla fine del XIII secolo la fazione guelfa si scisse e da quel momento si iniziò a parlare di Guelfi neri -che sostenevano le mire espansionistiche di papa Bonifacio VIII- e di Guelfi bianchi -che intendevano tutelare l’autonomia di Firenze e della Toscana. E proprio per la libertà della propria città dal Papato si impegnò Dante, tra le file dei Guelfi bianchi. I neri però presero il potere nell’autunno del 1301. Per il nostro poeta fu l’inizio della fine: ricevette accuse di ogni tipo, gli fu vietata la vita politica e venne esiliato.

In questa sorta di vagabondaggio per l’Italia -si dice- egli tra il 1304 e il 1321 compose la Comedìa o Commedia, nota ovunque nel mondo come Divina Commedia.

Luca Signorelli,  Dante, affresco, 1499-1502, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto

Dante padre della lingua italiana

Il poeta fiorentino è conosciuto ovunque nel mondo, celebrato e osannato in ogni dove come il padre della lingua italiana. Perché tutto questo merito?

La gloria che gli si attribuisce passa dalla Comedìa, un poema scritto in terzine di endecasillabi che narra del viaggio dello stesso Dante nell’oltretomba.

L’Alighieri non fu il primo a comporre versi che non fossero in latino: lo facevano già Giacomo da Bentini (l’inventore del sonetto) e Guittone d’Arezzo (il fondatore della lirica civile italiana) prima ancora che il nostro nascesse, per esempio. Dante fu il primo a prendere quella giovane lingua, usata fino a quel momento essenzialmente per la lirica amorosa, e a farne una cosa “seria”.

Egli, infatti, non compose il poema nel tradizionale Latino, ma in “volgare” toscano, cioè nella lingua parlata dal volgo, dalla gente comune della sua Firenze. Il lessico italiano di base è formato da 2000 parole a frequenza altissima. Combinandole, noi formiamo il 90 % dei nostri enunciati. Di queste 2000 parole 1600 sono già attestate nella Comèdia di Dante. Egli quindi fa l’upgrade a un lessico popolare dandogli la dignità della forma poetica. Ed è per questo motivo che gli attribuiamo la paternità della lingua che parliamo (e scriviamo) tutti i giorni!

Non sono questi, però, che hanno portato la fama del poeta fuori dai confini nazionali. Questa la si deve sopratutto alla Divina Commedia e alla sua “trama” -la possiamo chiamare così?

La Divina Commedia

Il poema dantesco è un’opera globale che affronta ogni aspetto del vissuto umano, nella gioia e nel dolore. Tra queste terzine si gode dell’amore più puro e si soffre delle sofferenze più atroci insieme ai protagonisti di una storia incredibile che è, in fondo, quella dell’umanità.

L’esperienza politica prima e la vita da esule poi avevano mostrato a Dante una società caotica, corrotta e brutale. La rettitudine e la salvezza avrebbero dovuto essere gli obiettivi principali di un’umanità ormai allo stremo, divorata dall’egoismo e dalla violenza. Egli quindi immaginò un viaggio nei tre regni dell’oltretomba, durante il quale esplorò la sofferenza dell’inferno, il pentimento del purgatorio e l’ascensione verso Dio nel paradiso.

Ai tre regni corrispondono le tre cantiche in cui è strutturato il poema ognuna delle quali divisa in canti. 34 per l’Inferno (il primo canto è di introduzione generale al poema), 33 per il Purgatorio e 33 per il Paradiso. In totale sono 100 canti.

Un canto è composto di versi endecasillabi raggruppati in terzine a rima concatenata (seguendo lo schema ABA, BCB, CDC…) e di lunghezza variabile che va da un minimo di 115 a un massimo di 160 versi. 115 da una parte. 160 dall’altra… alla fine nella Divina Commedia si contano 14.233 versi endecasillabi.

William Blake, Beatrice mostra la via a Dante, 1824

Dante viaggiatore

Queste migliaia di versi raccontano di un viaggio, come si è detto, un viaggio dal duplice significato. Immediato è quello letterale, trasmesso dal resoconto di un uomo che nel 1300 si è smarrito in un bosco e si è trovato alle porte dell’inferno. Più fine e profondo, invece, è il significato allegorico del viaggio che diventa il percorso di purificazione morale e religiosa che ognuno di noi può e deve compiere in questa vita per ottenere la salvezza eterna.

I personaggi che Dante incontra, pertanto, possono assumere una doppia valenza, letterale (o storica) o allegorica: Virgilio è -in senso letterale- guida di Dante nell’inferno e nel purgatorio, ma è anche allegoria della ragione umana. Sarà poi Beatrice ad accompagnare Dante in Paradiso, allegoria della felicità eterna e del possesso delle virtù teologali (fede, speranza e carità).

L’elemento più straordinario della Commedia dantesca è che Dante viaggiatore non si limita solo a descrivere i luoghi e le persone che incontra. Egli indica figure celebri dell’epoca e che il lettore conosceva bene. Tutto ciò infonde alla trama un’ulteriore dose di credibilità e, al contempo, accende la miccia dell’immaginazione (dei contemporanei in primis, ma anche la nostra).

L’altra immaginazione che si è accesa è quella degli artisti sempre intenti a trarre argomenti e iconografie dalla pagine della Divina Commedia. Per citarne alcuni: William Blake, Gustave Doré e Auguste Rodin.

In realtà è l’immaginazione di ciascuno di noi quella che viene alimentata dal poema ogni volta che si apre una pagina e si inizia a leggere da un verso a caso. Tutto ciò, la storia, l’uomo, il viaggio e l’allegoria e tutto il resto rendono questa Comedìa divina.

Vi è piaciuto il post?