
Questo mi ha fatto venir voglia di riguardare gli appunti sul pittore norvegese, dopo settimane di studi sull’Antico e un paio di post riguardanti un’arte figurativa fruibile e -tra virgolette- più “semplice”!
Quello del pittore norvegese era un animo inquieto, figlio di un’epoca fatta di eccessi e di esperienze forti che acuiscono sofferenze radicate nell’infanzia. L’arte di Munch, infatti, è satura di elementi autobiografici, che dipingono con pennellate dense e decise un’umanità disperata.
Non voglio riflettere sulle silenziose richieste di aiuto fatte nel reiterare temi e luoghi -si vedano L’Urlo e La voce // Chiaro di Luna. E non voglio insistere sulle angosce esistenziali proto-espressioniste: non ne ho i mezzi critici.
Vorrei solo concentrarmi sulla forte carica fisica delle sue pennellate. La cosa che più mi affascina di Munch è la violenza che il pittore fa alla figura umana; utilizzando un pennello saturo di pigmento e sfruttando la purezza del colore, egli annulla la fisicità. Egli fonde corpi e anime e sensazioni, come avviene ne Il bacio. I cui contorni si confondono con lo sfondo, restituendo all’uomo l’innato senso di appartenenza alla natura.
Per gridare al mondo il proprio rifiuto verso la sofferenza, ha creato uomini e donne sfigurati dal pennello, ma fieri della propria essenza: assume, per me, l’arte di Edvard Munch una compostezza distante da quella delle “belle madonne” di Raffaello, ma altrettanto efficace. Una compostezza che da coraggio.
E torniamo qui all’aitante Brad Pitt, che in World War Z si unge un po’ i (terrificanti!) capelli a caschetto. Se lui ha salvato il mondo con una chioma così… anche le angosce degli zombie di Munch sono risolvibili! E i suoi omini disperati sono molto più sexy dei burattini sdentati contro cui combatte Pitt.
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